14 febbraio 2021.
Ho una scatola di ricordi con sopra inciso il numero dieci.
Dieci come i piccoli indiani di Agatha Christie, dieci come la maglia di Pelé, Platini e Maradona, dieci come le ragazze di Lucio Battisti.
Dieci come gli anni della mia partita iva.
Dentro quella scatola custodisco ricordi preziosissimi: sorrisi incastonati in un braccialetto di perle, canzoni potenti che riecheggiano nella stanza, occhi stremati che abbandonano un attimo il computer per posarsi su un quaderno che profuma di nuovo, lacrime infilate nei raccoglitori di francobolli, collezioni corpose di schiaffi in faccia e pat pat sulle spalle.
La mente vola al mio ingenuo “Post Zero”, all’immaturità e alla leggerezza di un tempo che non c’è più, agli incoraggiamenti di mamma nella mia vecchia cucina arancione, con le piastrelle sbeccate e il Kivik di Ikea in cui mi rifugio quando mi sento risucchiata dalla vita.
Mi piace pensare che le parole che ho usato in tutto questo tempo siano state delle gemme preziose capaci di far germogliare pezzi di mondo, realtà coraggiose, ambizioni acerbe che si sono fatte strada e hanno trovato il loro sentiero.
Guardo la mia attività, la accarezzo, le chiedo se, anche con qualche ruga in più, i capelli che ingrigiscono e l’esperienza raggomitolata tra le mani, teniamo ancora botta o se c’è qualcosa in cui possiamo migliorarci.
Non voglio fare bilanci, non sono nelle mie corde: preferisco immaginare nuovi orizzonti, lottare per i progetti aggrovigliati nella mia testa, in attesa di trovare una forma definita tra occhi stropicciati e croissant farciti di pere e zenzero.
Sono contenta di tutto quello che è stato, dalle salite faticose che mi hanno fatta palpitare più di una volta alle discese veloci, piene di quella brezza estiva che ti obbliga a metter su la felpa.
Cara partita iva, ti prometto di fare del mio meglio; tu, invece, aiutami a diventare una donna più adulta e consapevole: a volte quella ragazzina spaurita, perennemente in jeans e maglietta, torna a trovarmi e si infila nelle pieghe delle mie sicurezze.
Chiudo gli occhi, trattengo il fiato, soffio sulle candeline di una torta che sa di limone ed esprimo un desiderio: continuare per almeno altri dieci anni ad avere quel brivido che galoppa lungo la schiena quando le mie dita sfiorano la tastiera.
Hai trovato interessante questo articolo?
Iscriviti a Radici, la mia newsletter, per non perdertene più nessuno.