Tra una cosa e l’altra, è ormai un anno che sentiamo parlare di intelligenza artificiale (IA): dal boom di ChatGPT al più recente Gemini, siamo qui che tentiamo di farci un’opinione sul tema e provare a delineare uno scenario futuro.
Tra chi è entusiasta e chi si immagina un domani dominato dalle macchine, io ho deciso di assumere una posizione curiosa e aperta: l’intelligenza artificiale mi sostituirà davvero? tra quanto? come può questa nuova tecnologia arricchire il mio lavoro? quali sono i limiti e le potenzialità?
Nel mio post di oggi provo a dare qualche risposta e condividere con te come uso l’intelligenza artificiale nel mio lavoro di copywriter.
Il mio approccio all’intelligenza artificiale
Come tutte le persone che hanno iniziato a usare l’intelligenza artificiale sono partita da cose banali: ciao, puoi provare a scrivere un post social per invitare le persone a partecipare al webinar x? / ciao, devo creare un blogpost sul tono di voce, tu cosa scriveresti?/ ciao, mi aiuti a creare un email standard per rispondere a una richiesta di preventivo? (sì, saluto tutte le volte e dico anche grazie).
Non posso negare che, a prima vista, il risultato sia interessante. Contenuti ben scritti, con le informazioni che servono, chiari, per lo più corretti. Una seconda lettura e un uso dello strumento a più riprese e in varie situazioni, mi ha poi portato a questa considerazione: l’IA è un ottimo modo per aprirsi a nuove prospettive ma non possiede ancora – a oggi per lo meno – la profondità di comprensione e la sensibilità emotiva che noi, come persone, portiamo naturalmente al nostro lavoro.
Ecco quindi che ho voluto trovare un equilibrio, il mio e che funziona per me: scegliere di usare l’IA come supporto, accogliendone l’innovazione tecnologica, senza perdere di vista l’importanza dell’intuito, dell’empatia e della connessione umana, che sono al centro del mio modo di comunicare e lavorare.
Cosa scrivo con l’intelligenza artificiale
La verità? Pochissimo perché penso che sia molto difficile – oggi – dare in pasto all’IA delle informazioni e avere come risultato un contenuto impeccabile, che centra l’obiettivo, che tiene conto del contesto per cui viene scritto. Da copywriter non penso sia possibile prendere un contenuto generato da ChatGPT e publicarlo/postarlo/diffonderlo così com’è, senza fare un minimo di editing.
Se, quindi, uso pochissimo l’IA in fase di scrittura vera e propria, mi servo di questo strumento come una specie di assistente che amplifica la mia capacità di generare idee, organizzare i pensieri, scoprire nuove prospettive, velocizzare processi e flussi di lavoro. Alcuni esempi di come mi servo dell’intelligenza artificiale nel copywriting, riporto qui di seguito.
- Scalette per blogpost. Fornendo un tema di partenza, i punti chiave su cui voglio concentrarmi e il messaggio da trasmettere, l’IA mi aiuta a delineare una struttura logica e coerente, suggerendomi titoli, sottotitoli e potenziali sviluppi, che poi personalizzo e adatto alla mia voce e al mio pubblico.
- Brainstorming di vario genere. L’IA mi propone nuove direzioni creative e punti di vista che non avevo consideraro, non sempre la mia creatività è al massimo, a volte rimango imbrigliata negli stessi costrutti lessicali, nelle parole a cui sono più affezionata. L’IA mi fornisce delle valide alternative, nuovi modi di esprimere un concetto, sinonimi e associazioni legate a una parola che posso scegliere di usare o meno in base al progetto a cui sto lavorando.
- Ricerca. Un esempio su tutti è per la mia newsletter Radici, in cui racconto una parola al mese, parto dal suo significato e ci faccio dei ragionamenti intorno. Tutte le volte parlo di comunicazione e campagne pubblicitarie correlate all’argomento. In questo caso, l’IA diventa il mio assistente di ricerca proponendomi esempi di campagne, consentendomi di concentrarmi sull’analisi e sulla valutazione critica, invece di perdere tempo in ricerche manuali prolungate. Prima lo facevo con Google, ma ci mettevo molto più tempo.
La responsabilità del contenuto è sempre mia
Qual è il confine tra artificiale e reale? Fino a dove possiamo spingerci con l’intelligenza artificiale nel copywriting? A queste domande, francamente, non ho ancora risposta ma quello che posso dire è che, se da un lato l’IA apporta valore al mio processo creativo/lavorativo, dall’altro la responsabilità di quello che scrivo è sempre mia. Se un contenuto non funziona è colpa mia. Se invece ha successo è merito mio.
L’uso dell’IA mi solleva da alcuni compiti meccanici o di ricerca, ma aumenta anche la mia responsabilità di revisionare, personalizzare e infondere autenticità in ogni pezzo che scrivo. Ogni scelta creativa, ogni messaggio che intendo trasmettere, passa attraverso il filtro della mia esperienza, sensibilità e giudizio professionale. Nonostante sfrutti le potenzialità dell’IA, la voce, la visione e i valori che trasmetto attraverso i miei lavori sono inconfondibilmente miei e delle persone che mi hanno commissionato quel progetto.
Un parallelismo con il mondo del ghostwriting
Che differenza c’è tra usare l’IA per i propri testi e affidare il lavoro a un ghostwriter? Provo a fare questo paragone perché vorrei sensibilizzarti sul fatto che non sempre sappiamo chi abbia scritto davvero un determinato contenuto. O pensiamo di saperlo ma non è così.
Nella mia vita mi è capitato più volte di fare la ghostwriter: colleghe freelance che chiedono di aiutarle nei loro progetti di scrittura, agenzie di comunicazione che mi passano lavori di copy per carichi di lavoro troppo elevati. In tutti questi casi io rimango nell’ombra: è la collega freelance che mette la firma sul progetto, così come l’agenzia di comunicazione si assume la responsabilità di quello che ho realizzato io, nel bene e nel male. Chi leggerà quei testi non saprà che in realtà li ho scritti io, non farà i complimenti a me, io nel 99% dei casi non potrò inserire quei lavori in portfolio.
E se quella collega freelance o l’agenzia di comunicazione, invece che far scrivere a me quei testi, chiedesse aiuto all’IA? Che cosa cambierebbe? Lascio a te la risposta.
I limiti dell’intelligenza artificiale nel copywriting
Nonostante l’IA possa elaborare dati a una velocità e in una quantità che vanno ben oltre le capacità umane e offrire risultati interessanti, ci sono aspetti del copywriting che rimangono al di fuori della sua portata.
- Il contesto. L’IA, per quanto avanzata, fatica a comprendere pienamente lo scenario in cui si inseriscono i testi. La sua capacità di adattarsi alle sfumature specifiche di un marchio, di catturare l’essenza di un pubblico o di interpretare le sottili dinamiche culturali è ancora indietro.
- La scintilla creativa. Sebbene l’IA possa generare testi corretti dal punto di vista grammaticale e sintattico, spesso manca di quell’originalità che distinguono un buon copy da un buon assemblamento di parole ben congegnate. La capacità di sorprendere, emozionare o coinvolgere resta una prerogativa umana, che deriva da esperienze vissute, emozioni reali.
- La ripetitività. Nonostante input e brief ben spiegati, succede che i testi generati dall’IA possono avere una struttura sempre uguale, che un occhio attento riesce a riconoscere.
- L’influenza con l’inglese. L’IA, a volte, tende a incorporare strutture e un lessico che ricordano più l’inglese che l’italiano. Questa inclinazione si manifesta attraverso l’adozione di costrutti sintattici e l’uso di terminologie che, pur essendo tecnicamente corretti, suonano innaturali o direttamente tradotti dall’inglese, perdendo quella fluidità e quel ritmo che caratterizzano la scrittura nella nostra lingua.
Insomma, mentre l’intelligenza artificiale continua a evolversi e a sorprenderci con le sue capacità, la sua applicazione nel copywriting deve ancora migliorare. La vera essenza della comunicazione, infatti, risiede nella capacità di connettersi a livello umano, una qualità che, almeno per ora, per fortuna, rimane distintamente nostra.
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