La prima volta che ho detto no a un cliente è stata quando lui si è rifiutato di compilare il questionario per i testi del sito.
«Scusa, non ho tempo da perdere. Se ti servono maggiori informazioni prendili da qui (link al sito del suo maggiore concorrente)».
Per noi che ci occupiamo di scrittura professionale il questionario è la cosa più preziosa che abbiamo: è la nostra bussola, ci aiuta a tracciare la direzione delle fantastiche cose che andremo a scrivere per i nostri clienti.
Questionario, intervista. Insomma: un pacco di domande
Quando parte un progetto di copy la fase di scrittura arriva solo alla fine. Prima c’è tutta una parte di analisi. C’è bisogno di conoscere. Di approfondire, di essere curiosi, di appassionarsi all’argomento e cercare di farlo proprio il più possibile.
Le domande, raccolte in un questionario scritto o fatte a voce in modalità intervista, ci servono per capire meglio quello che dovremo raccontare, quali parole serviranno per essere più efficaci, cosa dire e come dirlo, come se fosse il nostro cliente a parlare.
Le domande sono sempre tante, riguardano obiettivi, l’identikit del cliente ideale, le soluzioni offerte, il tono di voce, i valori, le parole che piacciono e quelle che proprio non sono in linea con l’identità di quella persona/azienda.
Spesso il questionario non basta. Spesso seguono luuuunghe call su Skype o incontri di approfondimento.
Il questionario non è solo prezioso, è I-N-D-I-S-P-E-N-S-A-B-I-L-E per fare un buon lavoro di scrittura, capace di soddisfare e rappresentare a pieno la realtà per la quale stiamo mettendo a disposizione le nostre parole.
I clienti che non si rendono conto dell’importanza di questa parte di lavoro sono delle brutte persone e non meritano un briciolo del nostro tempo.
Il questionario è come un faro che illumina dove serve
Diversi clienti, dopo aver compilato il questionario, mi hanno scritto/detto cose di questo tipo:
«Grazie per tutte queste domande. Non sono state utili solo a te, ma anche a me per trovare il focus, chiarirmi le idee sul mio lavoro e mettere dei punti fermi su chi sono e le persone che voglio intercettare».
Sia chiaro, non è che il mio sia il questionario del secolo, quasi tutti i copy che conosco e che stimo usano uno strumento del genere prima di partire in quarta e scrivere, ma è bello pensare di essere utili non solo con le parole ma anche nell’illuminare il cammino di un cliente che ha bisogno di ritrovare la direzione e non perdersi più.
Come ho già detto più volte, scrivere le storie degli altri è una grande responsabilità, di certo non è come fare interventi a cuore aperto o partire in missione in Africa, ma è un impegno grande. Scrivere testi che non funzionano o non risuonano come dovrebbero, significa influenzare negativamente il lavoro dei nostri clienti e le loro potenzialità di crescita.
Per questo il mio payoff è “parole connesse”
Giurin giuretto, il prossimo anno farò un post dove ti spiegherò cos’è un payoff e com’è nato il mio parole connesse, ma inizio ad anticiparti che è proprio questo per me quello che conta: non scrivere tanto per farlo, per portarsi a casa la pagnotta a fine mese, ma essere bravi nello scegliere le parole giuste per quel cliente, che vanno bene per lui e per nessun altro.
Le parole che non connettono, che non creano sintonia, sono come un paio di scarpe strette che ti fanno venire le bolle ai piedi e non vedi l’ora di togliere. Le parole giuste, invece, sono delle belle scarpe comode, con cui senti che potresti fare di tutto. Anche scalare l’Everest.
E il questionario è, ogni volta, il primo tassello di un percorso di scrittura che costruisce relazioni forti e bellissime.
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